Ad un colloquio di lavoro, quando un candidato si trova davanti ad un selezionatore, non sempre quest’ultimo adotta comportamenti adatti a metterlo a suo agio. Questo, a prescindere dall’eventuale ottenimento del posto o meno. Non che debba farlo per forza ovviamente, visto che in alcuni casi potrebbe anche essere una sorta di test, vera e propria parte integrante del colloquio. Questo però non toglie che se già un’ansia di fondo è, per così dire, endemica, il trovarsi davanti a selezionatori che operano in questo modo può complicare non poco la situazione.
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Le cinque pratiche poco gradite durante il colloquio

Ci sono alcune pratiche infatti, che risultano ben poco gradite a chi si presenta ad una “job interview” ed anche se è il selezionatore ad avere il coltello dalla parte del manico, a volte è veramente difficile comprendere la ragione di determinate maniere di fare. Sono almeno 5 i comportamenti che possono mettere in difficoltà il candidato, o comunque farlo innervosire. A volte però, va precisato, sussistono valide motivazioni che giustificano tali comportamenti. Proviamo a ragionarci su.
“Vendere” il lavoro per quello che non è
Ovvero descrivere ruoli e mansioni sovrastimandoli, anche di molto, facendoli sembrare migliori di quello che in realtà sono. Una simile pratica potrebbe sembrare non avere molto senso in un Paese in cui la disoccupazione è così diffusa che nella grande maggioranza dei casi se un candidato non accetta un lavoro, ce ne sono subito pronti almeno altri dieci. Insomma: “il posto sarà anche brutto ma quello è e quello rimane, se lo vuoi bene sennò arrangiati che fuori c’è la fila”.
Comportamento del recruiter incomprensibile? Mica tanto! La storia del “tanto ce ne sono altri dieci” è vera fino ad un certo punto. Per alcuni posti, o mestieri, è sicuramente così, almeno in Italia, ma per altri capita che i selezionatori facciano una fatica tremenda a trovare un candidato che risponda anche solo parzialmente alle caratteristiche necessarie. Ed è ovvio che alcuni di essi, quando lo trovano, cerchino di tenerselo facendo opera di convincimento, descrivendogli il posto di lavoro con un livello di passione tale da rischiare di esagerare un pochino nei lati positivi. Certo, sarebbe meglio di no, ma tra un recruiter che si appassiona e decide di assumere e un altro che prende con estrema freddezza la decisione contraria, voi chi scegliereste?
Descrivere il lavoro in modo vago
C’è un altro modo di spiegare il lavoro ad un candidato ed è quello di stare sul vago. In questo senso quest’ultimo potrebbe anche non accorgersene durante il colloquio, non conoscendo esattamente quello che dovrà fare una volta assunto. Ed è chiaro che, proprio per questa ragione, i primi giorni di lavoro potrebbero essere più complicati del previsto. Aggiungiamo che se l’assunzione prevede (come quasi sempre accade) un periodo di prova, una descrizione vaga o imprecisa delle mansioni da svolgere certo non aiuta a superare senza ostacoli tale periodo. Per questo chi cerca lavoro può essere che (a ragione) si preoccupi del non aver ricevuto sufficienti indicazioni in fase di colloquio. Anche trovandosi di fronte ad un simile problema però, un candidato divenuto (fortunatamente) neo-assunto non è certo autorizzato a scoraggiarsi, tantomeno ad auto-giustificarsi dando la colpa al selezionatore. Sarebbe infatti il modo “migliore” per perdere il posto. Una volta che lo si è agguantato invece, bisogna tirar fuori gli artigli e lottare in ogni modo per tenerselo.
Ma qual è lo stipendio?
Può capitare che ad un primo colloquio, soprattutto se svolto in modo non del tutto formale, chi dovrebbe assumere non si sbilanci sull’esatto stipendio percepito una volta accettato il lavoro. Questo può essere un problema anche serio soprattutto per chi un lavoro ce l’ha e però lo vuole cambiare. Non conoscere di preciso le entrate, il tipo di contratto, gli eventuali benefit e via dicendo, potrebbe ragionevolmente indurre a smettere di prendere in considerazione il posto in oggetto da parte di chi deve decidere se cambiare o meno. Il discorso per chi è in condizione di disoccupazione può ovviamente essere differente, ma va però detto che l’indicazione di quanto verrà eventualmente percepito una volta assunti dovrebbe essere chiara fin da subito.
Non leggere curriculum e lettera di presentazione
Ore passate a rendere perfetti cv e lettera di presentazione per poi giungere al colloquio e scoprire che il recruiter non li ha nemmeno letti o lo ha fatto a malapena. Come? Trovandosi a fronteggiare domande la cui risposta è inserita all’interno di quei documenti, resi con lavoro certosino i migliori possibili. Certo, una simile situazione un po’ deprimente lo è. C’è un ma, di non poco conto: Non è per niente detto che se un selezionatore chiede al candidato qualcosa che già dovrebbe sapere perché contenuto all’interno di cv o lettera, sia per una mancanza di informazioni. Magari è un test, al quale bisogna sapersi rapportare in maniera efficace. Può darsi che, nonostante i pochi secondi impiegati, chi deve assumere abbia letto tutto quello che doveva leggere e stia verificando se il candidato abbia scritto panzane o meno. D’altra parte non può certo permettersi di assumere qualcuno con l’ardire di mettere nero su bianco cose false.
Atteggiamento intimidatorio
Alcuni selezionatori pare si divertano a mettere sotto pressione i loro interlocutori. A volte sembra che il loro unico scopo sia quello di esercitare il potere che hanno, facendo capire chiaramente che a loro spetta l’ultima parola e che se si avrà un lavoro o no a breve dipende esclusivamente da una loro decisione, unilaterale ed influenzata da chissà quali fattori personali. Una situazione certo non bella e per niente etica; questo perlomeno è il sentore che talvolta si ha. Però, non è così. Il fatto di mettere sotto pressione un candidato, a seconda del lavoro che questo dovrà eventualmente svolgere, può essere fondamentale per capire se sia quello giusto o meno.
Ci sono mestieri e condizioni di lavoro che presuppongono una forte resistenza allo stress ed è inutile quando non dannoso inserire in simili contesti una persona che tende ad agitarsi subito. Sia per il buon funzionamento del sistema produttivo, sia per la persona stessa che nel medio periodo potrebbe risentirne anche in salute. Un recruiter ha non solo il diritto, ma anche il dovere di fare questo tipo di verifica. Sicuramente, se la cosa la si vede dalla parte di chi il posto di lavoro vorrebbe conquistarlo, un atteggiamento di questo tipo risulta oltremodo sgradevole. E’ pero fondamentale non interpretarlo come un proporsi in modo ostile o arrogante da parte del selezionatore, ma come un mero test da superare.
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