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Cosa dice la Direttiva europea sulla ristrutturazione delle case

La Direttiva Ue sulla ristrutturazione degli edifici potrebbe imporre ai cittadini ed allo Stato una spesa poco affrontabile, ma alcune modifiche apportate la renderebbero meno pesante.

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L’Unione Europea vorrebbe varare una Direttiva che costringerebbe a cambiare classe energetica agli edifici (sia residenziali che non, in tempi differenti) entro il 2030 attraverso la ristrutturazione. Tale Direttiva green, nata a fine 2021 e non ancora approvata consiste in una serie di norme atte a ridurre il consumo energetico (e quindi anche l’inquinamento) del parco immobiliare dei paesi membri (27). L’Italia verrebbe seriamente coinvolta se dovesse essere approvata in quanto un terzo degli edifici del nostro Paese sarebbe in classe G, quella meno green, a causa soprattutto dei molti edifici storici. Va detto subito che l’UE non ha in alcun modo vietato la vendita delle case che, eventualmente, non si adegueranno ai parametri, come era inizialmente stato detto. Per gli edifici non residenziali, secondo la Commissione Europea, almeno il 15% dovrebbe arrivare ad essere in classe F entro il 2027. La stessa cosa per quelli residenziali, ma entro il 2030. Il Consiglio Europeo ha però recentemente eliminato questa ipotesi dalla proposta. In ogni caso, tecnicamente nella proposta di Direttiva non esistono sanzioni, semplicemente saranno gli Stati membri a decidere come raggiungere gli obiettivi.

Lo scopo è appunto quello di ridurre l’inquinamento, in quanto gli edifici vengono ritenuti come responsabili di buona parte di esso (circa un terzo) ed è stato valutato che circa il 75% non sia abbastanza redditizio dal punto di vista energetico (ovvero consuma troppa energia per quel che questa energia rende). In effetti più la classe energetica è bassa, più è bassa anche la resa a causa, per così dire, della poca coibentazione degli edifici e del tipo di energia utilizzata.

La situazione italiana

All’interno dell’Ue esiste una serie di Paesi chiamata “Coalizione della flessibilità”, di cui fa parte anche l’Italia, la quale si è messa in prima linea per quanto riguarda il rendere la Direttiva proposta un po’ più elastica. Come detto l’Italia ha un patrimonio immobiliare piuttosto vecchio, ma soprattutto ha molti edifici storici (che però potrebbero essere esclusi dalla Direttiva, è infatti questa un’ipotesi al vaglio), e una grande diffusione della proprietà immobiliare, contrariamente ad altri Paesi. Ciò vuol dire che gli italiani dovrebbero fare ricorso in modo massiccio alle ristrutturazioni delle proprie case per raggiungere gli obiettivi contenuti nella norma Ue, dovesse questa essere approvata, ma tutto ciò comporterebbe un grosso dispendio economico per i proprietari al punto che molti potrebbero non essere nemmeno in grado di affrontare la spesa, forse mai. Detto questo, la fine di una pandemia e l’inizio di una guerra interna all’Europa (intesa come continente), ovviamente non vengono certo in aiuto. C’è anche da dire che in Italia l’energia ha un costo piuttosto alto rispetto ad altri Paesi. L’Italia ha poi un altro problema dal punto di vista economico: è l’unica in cui negli ultimi 10 anni gli stipendi al posto di alzarsi si sono abbassati. Ciò ovviamente ha generato un aumento della povertà, ma a prescindere anche una perdita del potere medio di acquisto. Di conseguenza impegnarsi in una ristrutturazione più o meno profonda della propria casa per molti potrebbe essere qualcosa di letteralmente inaffrontabile economicamente, a prescindere dalla volontà di farlo.

I costi

Considerando che una delle ipotesi, forse scongiurata, era quella di far arrivare tutti gli edifici in classe E entro il 2030, si sarebbe trattato di un miglioramento di almeno due classi energetiche, quindi una ristrutturazione decisamente profonda. Un’operazione del genere è infatti possibile intervenendo sul cosiddetto “cappotto termico” dell’edificio, la sostituzione dei serramenti e quella della centrale termica. Non tutte queste modifiche forse sarebbero necessarie, ma non è detto, in quanto dipenderebbe appunto dalla classe energetica della casa: più è bassa, maggiori sono gli interventi. Si tratterebbe comunque di spendere molte migliaia di euro. Questo, in Italia, anche utilizzando il superbonus 110%, che comunque non copre tutti i tipi di lavori (ad esempio non copre i serramenti). In Italia potrebbero essere 9 milioni su 12,2 gli edifici non a norma, perché costruiti prima del 1974, cioè prima delle norme sui consumi. Gli edifici autonomi sono invece poco più di 6 milioni, poco più di 4 invece quelli soggetti ad eventuale ristrutturazione. Un costo medio calcolato sui 100.000 euro dimostra come la ristrutturazione in questione potrebbe costare addirittura come una casa. A livello generale si tratterebbe di spendere circa 2800 miliardi di euro, facendo una somma ipotetica tra la spesa necessaria ai 4 milioni di condomini e ai circa 6 milioni di casa autonome. 2800 miliardi sono di fatto un anno del Prodotto Interno Lordo (Pil) italiano. Una spesa letteralmente gigantesca, che essendo non affrontabile da molti cittadini, dovrebbe quindi essere sostenuta proprio dallo Stato.

Edifici pubblici e privati

Un altro punto della proposta di Direttiva è quello che riguarda gli edifici pubblici. Entro il 2028 dovranno essere ad emissioni zero, la stessa cosa per quelli privati entro il 2030, se di nuova costruzione. Per quanto riguarda gli edifici non residenziali gli stati membri dovranno scegliere il 15% di essi, quelli meno performanti, e migliorarne la classe energetica entro il 2030, per poi ridurla nuovamente entro il 2034. Nella Direttiva c’è anche la fine degli incentivi per l’acquisto di caldaie a gas entro il 2027 e l’istituzione di una tassa per le imprese che forniscono gas per uso domestico dal 2029 in poi.

In ogni caso la Direttiva pur essendo nata nel 2021, non è ancora stata approvata (arriverà al Parlamento Europeo, per uno degli step, il 23 gennaio). L’iter è infatti lungo e complicato. E non potrebbe essere altrimenti visto che sostanzialmente si cerca per certi versi di standardizzare tutte le abitazioni e più in generali gli edifici di 27 Paesi profondamente diversi tra loro per storia, cultura ed economia. Ovviamente ognuno a seconda di ciò che sostanzialmente possiede ed ha a che fare, è portatore di interessi propri. Una nazione con un patrimonio immobiliare piuttosto vecchio è chiaro che avrà più problemi ad adempiere ad una simile Direttiva, questo sia dal punto di vista economico che da quello organizzativo. Il Governo italiano si è infatti messo un po’ di traverso rispetto all’approvazione di questo pacchetto di norme, sostenendo che la casa è sacra e che andrebbe più che altro detassata, al posto di rischiare di far spendere diverse migliaia di euro ai proprietari. Si tratta in effetti di ristrutturazioni che colpiscono la prima casa, quindi non un bene di lusso, ma uno necessario, a prescindere dal livello delle abitazioni di ognuno.

Secondo alcuni osservatori la norma sulle abitazioni è affetta dallo stesso problema di diverse altre norme prodotte dall’UE, cioè quello di non tenere conto della diversità strutturale dei Paesi membri. Sostanzialmente una Direttiva che non differenzia per stati, quando questi sono protagonisti di diversità rilevanti, rischia di mettere in grande difficoltà alcune nazioni piuttosto che altre. Non tutti infatti possono affrontare la stessa cosa nel medesimo modo. Nelle modifiche apportate dal Consiglio Europeo però tali differenze sembrano essere state prese in maggiore considerazione, grazie ad esempio all’eliminazione della soglia del 15% degli edifici in classe G. Anche l’ipotesi di escludere gli edifici storici (ed alcune altre tipologie) va in questo senso. Anche perché andare a toccare gli edifici storici sarebbe come toccare direttamente la storia che rappresentano, abbassando il livello del patrimonio nazionale. Certi palazzi insomma, dovrebbero restare così come sono, per non rischiare di intaccare la cultura e l’arte insite nella loro stessa costruzione. C’è quindi da augurarsi che l’UE capisca il problema e proponga una Direttiva altamente flessibile che riesca a rispettare le necessità differenti di Paesi che non potrebbero essere più diverse per storia e cultura, oltre che per economia.

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