In soli due mesi Google ha ricevuto oltre 90.000 richieste riguardanti il cosiddetto “Diritto all’oblio” sancito a maggio da una sentenza della Corte Europea. Ne ha approvate poco più della metà, ma gli effetti collaterali di questo nuovo obbligo si sono fatti subito sentire, non solo su Big G, generando problemi non di poco conto quando non irrisolvibili. Il diritto all’oblio si muove tra quello, irrinunciabile, alla privacy e quello all’informazione, che lo è altrettanto. Una necessaria premessa da fare sul tema è che richiedere la rimozione da Google, o da altri motori di ricerca come ad esempio Bing (Microsoft), non significa, anche in caso di approvazione, “sparire” da internet.
Per affrontare la miriade di problemi generati dall’introduzione del diritto all’oblio, recentemente si sono riuniti i garanti Ue, proprio assieme ai rappresentanti di Google e di altri due colossali motori di ricerca. Il già citato Bing, e Yahoo. Intanto, secondo la Reuters, pare sia stato richiesto a Big G, come mai, la rimozione di link “inadeguati o non più pertinenti” riguardi solo la versione europea del motori di ricerca. Va detto che la sentenza emessa il 13 maggio dalla Corte Ue, ha trovato una pronta risposta da parte di Google, che circa due settimane dopo ha messo online il modulo utile alla richiesta di rimozione dei link. La stessa cosa è stata fatta, più recentemente, anche da Bing. Tale rimozione è, però, ovviamente, anche quando validata, “limitata” allo stesso motore. Vale a dire che cercando in Google (o in Bing) notizie su un determinato argomento, non sarà più possibile trovare i link rimossi a causa della richiesta fatta dagli interessati e che muove dal diritto all’oblio.
Proseguendo nel ragionamento: se chi compie la ricerca non ha mai effettuato l’accesso al link rimosso, non potrà mai leggere il contenuto dello stesso (o meglio, non attraverso i motori di ricerca che tale link hanno cancellato dai loro risultati). Se invece il link è già stato visitato dalla persona che compie quella ricerca per argomento, comunque non lo troverà più tra i risultati, ma quella persona potrebbe aver conservato l’url diretto (l’indirizzo internet) e ricordarsene, grazie alla comparsa di articoli simili nel motore di ricerca che sta utilizzando. Infatti la richiesta di rimozione del contenuto dal sito, va ovviamente indirizzata allo stesso sito che la ospita. Sparire da Google insomma, non significa sparire da internet.
Ciò pone un problema che, se non è irrisolvibile, poco ci manca. Quando un sito pubblica una notizia, almeno potenzialmente, la stessa notizia può essere ripresa da decine, centinaia, o anche migliaia di altri siti, i quali, nel caso si decida di richiedere loro la cancellazione materiale del contenuto, andrebbero contattati uno per uno, ammesso che si riesca a trovarli tutti. E ammesso anche che tali siti optino per accettare la richiesta (potrebbero infatti ritenere di non avere alcun motivo per soddisfarla). Va detto che la scomparsa da Google di determinati contenuti, abbassa notevolmente la possibilità di trovarli, aumentando allo stesso modo quella di realizzazione del diritto all’oblio, ma sono comunque contenuti che continuano ad avere una loro esistenza online.
La vastità della Rete insomma, non gioca certo a favore del diritto all’oblio. Ed “inventarsi” una regolamentazione efficace è impresa davvero ardua. Inoltre, le dinamiche che si possono verificare online, sono infinite e, oltretutto, completamente imprevedibili. C’è infatti chi sostiene che la recente scomparsa di alcuni articoli dai siti di quotidiani online famosi in tutto il mondo, al posto di perseguire il diritto all’oblio, abbia avuto esattamente l’effetto contrario. La loro sparizione ha infatti acceso nuovamente il dibattito, sulla sparizione stessa, ma anche sul contenuto del link improvvisamente scomparso da Google. Per non parlare del vero e proprio paradosso generatosi dalla comparsa del sito hiddenfromgoogle.com, che si propone di raccogliere quanto recentemente de-indicizzato da Big G. Un sito che, ovviamente è perfettamente indicizzato in Google.
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