Da decenni in Italia (ma a dire il vero non solo) c’è una teoria che potremmo tranquillamente definire stupida per la quale gli over 40 sarebbero vecchi per lavorare. Nessuno la dice esplicitamente, perché ovviamente nessuno vuole prendersi una simile responsabilità, ma molti la applicano nei fatti quando devono assumere qualcuno. Incredibilmente, anche se negli anni la sua portata è diventata minore, resiste all’allungamento dell’aspettativa di vita e all’innalzamento dell’età pensionabile. Così chi ha dai 40 anni in su, perlomeno in certi settori, rischia di trovarsi con una forbice di anni sempre più larga in cui viene giudicato troppo giovane per ritirarsi ma troppo vecchio per continuare a restare nel mondo del lavoro.
In pratica, se si va in pensione a 67 anni, secondo i fautori di questa teoria, per ben 27 una persona sarebbe troppo vecchia per lavorare. Considerando che magari ha iniziato intorno a 25 anni, l’altra forbice, quella in cui si è adeguati al lavoro, sarebbe di circa 15 anni, quasi la metà della prima, in cui adeguati non lo si è. Già da questi numeri si capisce bene come la situazione sia psicologicamente sfuggita di mano, ma ciò ha creato conseguenze abbastanza pesanti nel mondo del lavoro delle persone più adulte. Eppure dovrebbe essere palese che gli over 40, ma anche gli over 50 e gli over 60 siano perfettamente inseribili nel mercato del lavoro, le ragioni sono molteplici e tutte molto, molto concrete.
L’esperienza
La prima ragione, o meglio quella più immediata, è chiaramente l’esperienza acquisita negli anni precedenti al compimento del fatidico 40esimo anno di età. Una cosa questa che non dovrebbe nemmeno essere spiegata. Un lavoratore che opera già da 10-15 o magari anche 20 anni, ha un bagaglio lavorativo spaventosamente invidiabile, ed è ben strano che in Italia ciò troppo spesso non venga riconosciuto. Si preferisce invece spesso assumere persone molto giovani con poca o nessuna esperienza. Questo avviene principalmente per due ragioni: la prima è economica. Solitamente li si paga di meno, e li si paga di meno spiegando loro che non hanno esperienza. Ciò è incredibile perché si potrebbe invece pagare di più chi l’esperienza ce l’ha, se è quella che si vuole, ma spesso ci si rifiuta di farlo. La seconda ragione è un continuo giovanilismo che tende a preferire i giovani non solo ai più vecchi, ma anche alle persone in piena età matura. Il giovanilismo non è sbagliato in se stesso, ma è sbagliato quando crea una guerra generazionale che esclude persone sulla mera base dell’età. Voler assumere giovani è sacrosanto, ma farlo solo per non voler assumere chi giovane non è più è letteralmente assurdo.
Eppure l’esperienza di un over 40 o 50 è impareggiabile e ciò si rispecchia nella produttività della singola persona. Molto spesso non si capisce che formare una persona matura che resta disgraziatamente senza lavoro e deve cambiarlo, sarà forse un processo un pochino più lungo rispetto a quello di formarne una più giovane, ma la prima ha dalla sua il fatto di aver già lavorato e sapere esattamente come comportarsi per essere il più performante possibile. Questo può essere applicato a qualsiasi mestiere, una volta imparato. E’ decisamente strano che non si capisca ancora bene una questione così semplice ed immediata. L’ideologia per la quale un giovane sia per forza meglio di una persona matura è falsa. Ovviamente può essere anche in quel modo, ma pure al contrario. L’età quindi non dovrebbe contare assolutamente nulla in un processo di selezione del personale, ovviamente salvo casi specifici.
La stabilità
Il fatto che soprattutto i giovani vengano spesso pagati poco, dato che ciò è avvenuto per decenni (e ancora avviene), ha parzialmente creato un problema proprio con i giovani. Che adesso in un buon numero di casi non hanno più voglia di sacrificarsi e mettersi ad imparare un lavoro per pochi soldi, visto che credono (a torto o ragione, ma in non poche situazioni a ragione) che comunque quel sacrificio non porterà loro nulla o quasi. Ciò ha creato una certa instabilità (anche nel tenersi il posto di lavoro ed infatti molti si dimettono), che tra l’altro è anche sempre stata una tipica ed endemica caratteristica giovanile, fondamentalmente ineliminabile per mere questioni di età. Un’instabilità che un over 40 non ha più e soprattutto non può permettersi. Prima di tutto, la testa di una persona matura è ormai differente da quella di qualcuno che ha 20-25 anni. Quest’ultima è spesso e giustamente piena di sogni e grandi speranze, cosa che chi è più maturo ha magari già archiviato in parte o del tutto. L’altro lato della faccenda è che gli adulti quasi sempre hanno una famiglia da mantenere, hanno figli insomma ed a loro colpi di testa dettati dall’inseguire un sogno non sono assolutamente permessi. Lo sanno ed è per questo che sono più stabili nei comportamenti. Dio ci salvi dal fatto che ai giovani manchino i sogni, ma questi ultimo portano anche a volte a situazioni spiacevoli. Come al solito poi non si dovrebbe vedere la questione nel modo “o giovani o vecchi”, le varie generazioni dovrebbero essere ugualmente integrante nel mondo del lavoro. Ma il problema è che mentre per i primi il problema di essere assunti è marginale (ed infatti lì il nodo ruota attorno alla consistenza dello stipendio), per i secondi vi è proprio un problema di riuscire a rientrare nel mercato se malauguratamente vengono per qualche ragione estromessi.
L’insegnamento
Partendo dal fatto che un over 40 o 50 (ma anche 60) è spesso madre/padre ed è quindi abituato ad avere a che fare con persone molto più giovani di lui, non è strano che vi sia da parte del primo una spinta all’insegnamento verso i colleghi ancora in età verde. Questo è chiaramente un enorme valore aggiunto per un’azienda, perché vi è una trasmissione automatica di nozioni, competenze, ma anche di comportamenti senza bisogno di investire in articolati corsi di formazione (che pure sono necessari per altre ragioni). Vi è negli anni di convivenza tra lavoratori giovani e maturi un passaggio di consegne che avviene da solo, senza bisogno che nessuno faccia nulla per farlo avvenire. E questo accade con grande soddisfazione di tutte le persone coinvolte. C’è infatti chi è contento di insegnare e chi di imparare perché il suo futuro ne risentirà positivamente. Assumere un over 40 insomma porta anche a questo, alla formazione automatica dei dipendenti più in erba, che poi saranno il futuro dell’azienda. Anche in questo caso, è ben strano non capire, o non considerare, un concetto del genere.
Da questi motivi (e ce ne sarebbero altri) si evince chiaramente come (anche) un over 40 sia una risorsa imprescindibile per un’azienda che voglia essere stabile e continuare a svilupparsi. Non bisognerebbe mai preferire un lavoratore od un altro per mere questioni di età (ti assumo solo perché sei più giovane), ma bisognerebbe invece comprendere come e quando inserire tipi di lavoratori diversi in contesti diversi, a seconda della necessità e delle competenze di ognuno di loro. La guerra generazionale non ha mai portato a niente di buono e mai lo farà ed è per questo che è l’unica guerra che andrebbe combattuta sempre e comunque, in modo da non avere sul mercato del lavoro due fazioni contrapposte (giovani che vogliono scalzare i vecchi e questi ultimi che devono difendersi in modi a volte anche non propriamente ortodossi), è proprio quella contro l’assurda battaglia generazionale. La via sarebbe quindi quella di incoraggiare l’incontro continuo tra questi due mondi, ma il modo per farlo passa sicuramente dal smettere di far credere ai più giovani che le persone mature siano troppo vecchie per lavorare. E questo accade solo se anche chi deve assumere smette di crederlo.
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