C’è un legame di non poco conto tra la frenata dell’inflazione (trascinata dal calo dei carburanti) e quella dei consumi. E’ la sesta volta di fila (su base mensile) che l’aumento dei prezzi rallenta; a marzo è stato registrato un +1,7% contro il + 1,9% di febbraio. Se il fatto che i prezzi calino (per alcuni beni) o comunque rallentino la loro corsa è, di fatto, una notizia positiva, un’analisi più ad ampio spettro indica piuttosto chiaramente che non è tutto oro ciò che luccica. I prezzi più “bassi” sono frutto (anche) di una pesante diminuzione della domanda. In parole povere, un dato bene costa di meno perché la richiesta da parte dei consumatori di quel bene crolla.
A lanciare ancora una volta l’allarme è stato il Codacons, secondo il quale i dati sull’inflazione diffusi dall’Istat confermano “un crollo dei consumi senza precedenti, una caduta della domanda storica che tocca persino beni necessari come gli alimentari”. Insomma, gli italiani spendono di meno anche per i cosiddetti beni primari, quelli che nessuna crisi dovrebbe mai intaccare. Teoria questa, che appare decisamente solida; una conferma autorevole arriva dalla Coldiretti che spiega come il “carrello della spesa” costi di meno perché “svuotato” di ortaggi, frutta e carne.
Un altro problema è quello del previsto aumento dell’Iva. Se nonostante l’innegabile influenza esercitata dal dato negativo sui consumi, è comunque possibile sostenere che il calo dei prezzi sia una notizia almeno in parte positiva, tale calo potrebbe venire completamente annullato dal fatto che a luglio l’Iva dovrebbe passare dal 21% al 22%. Un’operazione che, sempre secondo il Codacons, vanificherebbe di fatto i pochi risultati ottenuti. Come se non bastasse per Adusbef e Federconsumatori, i dati sull’inflazione “sono ancora fortemente sottostimati e rispecchiano un andamento lontano dalla realtà”. Insomma, il quadro sarebbe ancora più negativo di quello dipinto dalle analisi Istat.
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