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Lavorare con i cani: intervista gemella a due professioniste

Lavorare con i cani. Abbiamo intervistato due professioniste del settore. Ci vuole passione, volontà, determinatezza, competenze ed intuito. L’amore per gli animali serve, ma non basta.

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Per chi ama i cani, lavorare con loro è sicuramente un sogno. Tra queste persone, alcune, con infinita dedizione, molta fatica e altrettanti sacrifici, riescono a convertire il sogno prima in uno scopo, e poi in un lavoro. Non che la cosa sia facile e sicuramente amarli non è per nulla sufficiente per poter lavorare con i cani , ma scegliendo il percorso giusto per tempo e mettendoci, passione, testa, studio e un bel po’ d’intuito, si può arrivare a trasformare quel che quando si è piccoli non può essere altro che un bel sogno, in una realtà vera e propria. E’ il caso di Sabrina Moroni e Veronica Ruffino, entrambe  istruttrici cinofile. Veronica è anche veterinaria comportamentalista.

Sabrina e Veronica svolgono due professioni differenti, ma spesso collaborano in percorsi di recupero di cani problematici. Secondo entrambe, la collaborazione è la via migliore per giungere a risultati che siano il più possibile soddisfacenti, sia per i cani che per i loro proprietari. Bisogna infatti tenere sempre presente che lavorare con i cani e con gli animali in genere, significa anche e forse soprattutto, lavorare per loro. Le due professioniste sono state protagoniste di una nostra intervista gemella, che abbiamo suddiviso in due parti: una più umana, soggettiva e una più meramente tecnica. Ci è sembrata la strada migliore per mettere in luce le peculiarità di due professioni che si toccano ma non si assomigliano, si intrecciano ma sono estremamente distinte l’una dall’altra. Due professioni che spesso, purtroppo, nell’immaginario collettivo vengono confuse l’una con l’altra. Abbiamo quindi rivolto a Sabrina e Veronica  le stesse domande, nella medesima sequenza. Le loro risposte sono state a nostro avviso decisamente illuminanti, in tutti i sensi.

lavorare con i cani

  • Quando hai iniziato a lavorare con gli animali e perché

S: Ho desiderato avere un cane ed un cavallo da che ho memoria e all’età di 8 anni è arrivato il primo cane. A 28 anni ho vissuto la morte del mio cane Brutus ed andare a fare volontariato in canile è stato un modo per provare ad affrontare il forte dolore del lutto.

V: In famiglia abbiamo sempre avuto cani, fin da quando ero piccola, all’età di 17 anni ho cominciato a fare volontariato in canile, scelta che ho portato avanti per vent’anni in diverse strutture. Già alle elementari volevo fare il veterinario e il mio percorso di studi è stato scelto di conseguenza. Nei primi anni di università ho cominciato ad interessarmi all’aspetto comportamentale e successivamente alla laurea ho scelto un percorso formativo di specializzazione in tal senso.

  • La scelta del percorso che hai fatto da cosa è stata dettata?

S: Quando ho scoperto che esistevano professionisti che lavorano con i cani, è stato naturale scegliere questo percorso formativo.

V: Quando ero ancora piccola dal desiderio di aiutare i cani che erano randagi o in canile; successivamente ho scelto tra le varie branche di specializzazione quella che mi interessava e mi stimolava maggiormente

  • Quanto tempo ci vuole, a che età bisogna decidere di cominciare?

S: Alla base di tutto ci sono empatia e desiderio di aiutare gli altri che siano essi umani o animali e non c’è quindi un’età in cui è più giusto iniziare a farlo: prima è, meglio è.
Educatore ed Istruttore cinofilo poi lavorano prima di tutto con le persone e sicuramente ci vuole un certo grado di maturità sociale per farlo nel migliore dei modi e l’età è quindi soggettiva.

V: Per quanto riguarda il percorso universitario di medicina veterinaria sicuramente l’ideale è sceglierlo in giovane età, appena finita la scuola superiore; è un percorso molto impegnativo (laurea quinquennale con frequenza obbligatoria e tirocini pratici) ed è molto difficile portarlo avanti se non ci si dedica totalmente. Non è un percorso che consiglierei a chi ha già un lavoro che deve mantenere o degli impegni famigliari che non gli permettano di portarlo avanti con costanza. Per quanto riguarda il percorso di specializzazione (master e corsi per educatore e istruttore cinofilo), l’età è più relativa ma anche in questo caso si tratta di impegnarsi per un week end o più al mese, spostandosi magari in altre città, quindi l’impegno non è da sottovalutare. Per tutto il mio percorso formativo io ho impiegato circa 12 anni.

  • A chi consiglieresti il tuo lavoro? E chi “scoraggeresti”?

S: Lo consiglio a chi ama cani e persone, a chi da uguale importanza ad emozioni e razionalità, a chi ama la natura, il fango e la vita all’aria aperta, a chi considera un valore aggiunto tornare a casa la sera pieno di peli e zampate sui vestiti.

Lo sconsiglio per contro a chi non ha le caratteristiche sopracitate, a chi non è disposto a lavorare nel fine settimana, a chi lo considera un ripiego perché “cani e bambini” sono il business del ventesimo secolo, a chi spera di diventare ricco, a chi non ha l’umiltà di mettersi perennemente nella posizione di non sapere, a chi è giudicante con il mondo.

E’ un mestiere difficile e lo accomuno a quello di medici ed insegnanti: se non si sente il fuoco nel cuore, se non si hanno le farfalle nello stomaco, è meglio dedicarsi ad altro.

V: Ci vuole una motivazione molto forte perché è un percorso lungo che non dà, soprattutto all’inizio, grandi riscontri nel mondo del lavoro (anche economicamente parlando). Finito il percorso di studi è sempre necessario un periodo di tirocinio (non retribuito) e molta esperienza e tempo per poter avere una posizione lavorativa stabile. Per quanto ovviamente può essere considerata stabile la libera professione free-lance.

Lavorare con i cani

  • A parte l’amore per gli animali, è necessario un carattere particolare o doti specifiche per svolgere la tua professione?

S: Bisogna essere disposti a mettersi in gioco: è un percorso di conoscenza prima che del cane e delle persone, di sé stessi. Bisogna affrontare giornate sempre diverse le une dalle altre, si ha a che fare con esseri viventi e le cose non vanno mai al 100% come si era preventivato, c’è sempre una percentuale di sorpresa data dall’individualità dei soggetti. L’agenda cambia di giorno in giorno. Sicuramente bisogna essere persone in grado di gestire gli imprevisti e alti livelli di stress fisici ed emotivi.

Nessuno di noi ad inizio percorso può mettere la mano sul fuoco e stabilire se farà questo nella vita, nessuno si conosce così a fondo: è per questo che bisogna necessariamente essere disposti a mettersi in gioco, nel profondo del cuore.

V: Come sottolineato da Sabrina precedentemente è molto importante la capacità di essere empatici nei confronti delle persone; è una professione sociale e di aiuto e per poter essere efficaci è necessario imparare a relazionarci correttamente con i proprietari oltre che con i cani.

Veniamo ora alla parte più strettamente tecnica.

  • Che cosa fa un’educatrice cinofila/veterinaria comportamentista?

S: L’educatore cinofilo si occupa della parte educativa del cucciolo, dei problemi gestionali di cani adulti e anziani.

L’istruttore cinofilo si occupa di riabilitazione comportamentale (comportamenti legati ad ansia, paura, fobia, comportamenti aggressivi, iperattivi, legati alla separazione, etc) in collaborazione con il medico veterinario comportamentalista, un veterinario che ha acquisito un master in medicina comportamentale a seguito della laurea in medicina veterinaria.

V: Il veterinario comportamentalista effettua visite comportamentali presso uno studio o presso il domicilio del cliente (a mio parere situazione preferibile per svolgere adeguatamente la consulenza stessa). Emette una diagnosi e una prognosi ed indica una terapia (farmacologica se necessario o comportamentale in termini di percorso riabilitativo che svolgerà un istruttore cinofilo). Se la figura del veterinario comportamentalista e dell’istruttore cinofilo coincidono, come nel mio caso, è lo stesso veterinario a proporre e svolgere il percorso riabilitativo

  • Che differenza c’è tra una EC e una VC (e viceversa). Dove finisce una professione ed inizia l’altra? E cosa cambia rispetto ad una volontaria anche molto esperta?

S: Purtroppo non c’è una normativa che delimita i confini della professione dell’educatore e dell’istruttore cinofilo. Non c’è un albo ufficiale nazionale e spesso si superano determinati limiti a discapito delle famiglie quindi darò quella che è una risposta etica e di coscienza. L’educatore cinofilo si deve fermare quando il cane ha un problema e non più una difficoltà gestionale;

L’istruttore cinofilo si deve fermare quando c’è un sospetto di patologia (valutabile ma assolutamente non diagnosticabile) o un problema di sicurezza della famiglia (es. cane con comportamenti aggressivi nei confronti degli umani ed è presente un minore in famiglia).

Il medico veterinario comportamentalista si deve fermare quando, una volta fatta la diagnosi, c’è da creare un percorso comportamentale pratico per cane e famiglia.

Il volontario, anche il più esperto ha dalla sua l’esperienza che non può corrispondere a conoscenza assoluta. Se guardo tutte le puntate di Dr. House non divento necessariamente un medico.

V: Ogni professione ha delle sue competenze che non andrebbero oltrepassate per una corretta deontologia; lo stesso veterinario chiamato per una visita comportamentale non dovrebbe dare consigli su altri aspetti clinici (ad esempio alimentazione o problemi di salute) ma rimandare il cliente al proprio veterinario curante. Allo stesso modo il veterinario comportamentalista dovrebbe lasciare il percorso riabilitativo alle competenze dell’istruttore cinofilo, mantenendo un continuo aggiornamento e confronto con quest’ultimo.

  • Possono lavorare insieme? C’è pericolo che si ostacolino? O la multidisciplinarietà è meglio? E nel caso, come si organizza il lavoro in coppia?

S: Ognuna di esse è basata su uno specifico percorso formativo ma soprattutto sono complementari l’una con l’altra: fanno tutte e 4 parte di un grande puzzle che rappresenta il benessere di cane e famiglia.

Non “possono” lavorare insieme ma “DEVONO” lavorare insieme perché l’obiettivo di ognuna di queste figure è portare miglioramenti alla famiglia che manifesta la richiesta d’aiuto ed è dovere di ognuna fare gioco di squadra.

Il lavoro in coppia si organizza in base all’individualità, non esiste un protocollo ma le modalità individuali d’intervento: sicuramente c’è bisogno di volontà, umiltà e un pizzico di fortuna nell’incontrare le persone giuste.

V: Sicuramente è fondamentale che collaborino in modo adeguato, senza intralciare uno la parte dell’altro e confrontandosi sulla progressione del lavoro. Se c’è una buona intesa anche il lavoro in coppia è possibile e sicuramente fonte di arricchimento.

Lavorare con i cani

  • Esistono cani aggressivi per natura e nel caso possono essere recuperati?

S: Non esistono cani aggressivi in natura, tant’è che la cinofilia non parla più di aggressività ma di “comportamenti aggressivi” . Essi si basano su altre difficoltà: ansia, paura, controllo, irritazione, etc.

Ad esempio conosco molti cani considerati “aggressivi” che invece utilizzano i comportamenti di minaccia (es. pinzata o morso) come uno strumento per preservare sé stessi e tenere lontano un mondo che gli fa paura.

Una volta una docente disse alla mia classe “non tutti i problemi sono risolvibili ma tutti sono certamente migliorabili”: dopo anni di esperienza, non posso che essere totalmente d’accordo con questa idea.

V: L’aggressività è sintomo di un disagio emozionale (paura, rabbia, irritazione, ansia, controllo ecc), per cui è su quest’aspetto che bisogna intervenire; certamente ci sono situazioni più semplici e altre più complesse a seconda del cane ma anche del sistema famiglia (se un cane manifesta comportamenti aggressivi in una famiglia con bambini per esempio la situazione è più difficile perché ci sono soggetti più a rischio rispetto agli adulti). Si può intervenire su qualsiasi problema ma bisogna porsi obiettivi realistici e condivisi.

  • Che risultati si possono raggiungere con un cane problematico e quanto questi dipendono dal lavoro umano, quanto dal cane e quanto dal proprietario dell’animale?

S: La percentuale di riuscita di un percorso educativo o riabilitativo è direttamente proporzionale a quanto un proprietario si mette in gioco per capire il proprio cane, a quanto tempo è disposto a dedicargli e a quanto segue le indicazioni di educatore/istruttore/medico veterinario comportamentalista.

Un buon proprietario arriva poco lontano con un professionista inefficiente e un ottimo professionista non arriva da nessuna parte con un proprietario inadempiente.

Il cane è quello che nel trittico famiglia/professionista/cane ha meno responsabilità sui risultati… e questo fa riflettere.

V: In questo lavoro è importante da parte sia del proprietario che del consulente ascoltare, affidarsi e mettersi in gioco; il cane non ha responsabilità anche se sicuramente la gravità del problema (ad esempio uno stato ansioso che va avanti da molto tempo) può incidere sulla buona riuscita. Anche in questo caso si tratta di capire quali sono gli obiettivi da raggiungere ed assicurarsi che siano realistici e condivisi.

  • Una frase da tenere sempre a mente che diresti a chi vuole iniziare il tuo lavoro.

S: Rubandola a Steve Jobs: “Stay Hungry, stay Foolish!” . Sono dell’idea che ci sarebbe meno cattiveria nel mondo se ognuno di noi avesse la possibilità o la voglia di rispettare se stesso e facesse ciò che ama nella vita. E in questa professione, senza passione o desiderio costante di imparare, non si va da nessuna parte perché l’unica cosa di cui si è certi, è di non sapere.

V: Restare umili e non sentirsi mai arrivati. Si può imparare ogni giorno dai cani, dai colleghi più o meno esperti, dai proprietari ma bisogna aver la voglia e l’apertura mentale per poterlo fare

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