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Pensioni, ecco cosa cambierà

Nella prossima manovra di bilancio, alcune misure dedicate alle pensioni resteranno così come sono, ma sono anche state introdotte novità importanti.

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Il Governo nella prossima manovra inserirà anche diverse modifiche al sistema delle pensioni. Alcuni provvedimenti non verranno toccati, nonostante alcune voci, come ad esempio l’Ape sociale, Opzione donna e Quota 103. Altri provvedimenti invece saranno nuovi, ovvero verranno implementati dei sistemi di gestione della spesa pubblica atti a contenere i costi ma allo stesso tempo facilitare i lavoratori nella decisione sulla scelta riguardante l’andare o meno in pensione quando possibile. L’idea è quella di dare agli stessi lavoratori uno spettro di opzioni più ampio di quello attuale. Vediamo più nel dettaglio di cosa stiamo parlando

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Pensioni, tre novità importanti

Sono sostanzialmente tre le novità importanti che il Governo intenderebbe introdurre nella prossima manovra (che varrà circa 30 miliardi) e che riguardano il sistema pensionistico. La prima è quella che riguarda la permanenza al lavoro. Infatti, se chi lavora ed ha raggiunto i requisiti per andare in pensione dovesse decidere di restare in attività, dovrebbe poter usufruire di una detassazione del 9,19% sul lato lavoratore. Ciò ovviamente aumenterebbe i suoi introiti economici. Per fare un esempio molto veloce, su uno stipendio mensile di 1500 si troverebbe a prendere circa 135 euro in più. Certamente una cifra che non è da buttare via.

Il secondo provvedimento, che riguarda un argomento da moltissimi anni sottovalutato è quello della rivalutazione delle pensioni, che “sarà piena” ha spiegato il Ministro Giorgetti, in quanto il meccanismo di sterilizzazione (delle rivalutazioni) è stato eliminato. Unitamente a questo, si parla di un aumento anche delle pensioni minime. Non è ancora chiaro di quanto ma un’ipotesi è quella che arrivino a 640 euro (netti). All’interno dell’esecutivo a volerlo più di tutti pare essere Forza Italia, il partito di Antonio Tajani, partito che ha come obiettivo “finale” quello di portare l’importo delle minime a 1000 euro.

La terza novità tocca un argomento abbastanza delicato in Italia ed anche il provvedimento parrebbe esserlo abbastanza. Infatti il Governo vorrebbe introdurre un semestre di “silenzio assenso” passato il quale i soldi del Tfr confluirebbero direttamente in un qualche fondo pensionistico destinato alla previdenza complementare a meno che il lavoratore decida di negare il consenso e di lasciarli quindi sul Tfr (ovvero la cifra che l’azienda deve al dipendente una volta terminato il rapporto di lavoro). Un’altra ipotesi allo studio è quella di sostanzialmente obbligare i lavoratori a versare il 25% del Tfr in un fondo pensione. Se la prima è tranquillamente gestibile dal lavoratore, il quale è semplicemente chiamato a esprimere nuovamente la sua volontà rispetto al lasciare i soldi sul Tfr o destinarli ad un fondo pensione, la seconda appare più problematica, in quanto un buon numero di lavoratori già si avvale della previdenza complementare, quindi diventerebbe abbastanza complesso averne addirittura due.

Pensioni: le misure che resteranno

Come detto alcune misure resteranno esattamente così come sono adesso. Vediamo esattamente cosa sono e cosa comportano. La prima è l’Ape sociale. Si tratta sostanzialmente di una forma di anticipo pensionistico usufruibile da alcune categorie di lavoratori, a determinate condizioni. In pratica serve per andare in pensione prima del tempo ed ottenere un assegno a carico dello stato. La misura è dedicata in particolare a persone in precise condizioni di fragilità economica e/o sociale. Ad esempio chi è stato licenziato ed ha finito di prendere la disoccupazione, o chi ha una riduzione della capacità lavorativa riconosciuta dagli enti competenti. Esiste inoltre un elenco consultabile sul sito dell’Inps che informa su quali lavoratori, pur ancora in attività, possano godere dello strumento dell’Ape sociale, strumento che per ora è stato rifinanziato fino al 2028.

La seconda misura che il Governo ha mantenuto, almeno per tutto il 2025 è quella chiamata “Opzione donna”. Si tratta di uno strumento che permette ad alcune categorie di lavoratrici di andare in pensione molto prima anche rispetto ai requisiti della pensione anticipata. L’accesso però è limitato a un numero strettissimo di categorie. Possono usare Opzione donna infatti, le lavoratrici che assistono un familiare con disabilità così come definito dai parametri dell’apposita legge (104). Le donne che hanno una riduzione della capacità lavorativa di almeno il 74% (anch’essa deve essere certificata). E chi è dipendente di aziende in crisi, quindi vittima di licenziamento, o possibile licenziamento.

La terza misura è “Quota 103”. Si tratta di un opzione sfruttabile da chi ha almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Alle persone in possesso di tali requisiti, è garantito l’accesso alla pensione con trattamento intero attraverso finestre dedicate (ovvero periodi precisi in cui poter accedere). Per fare un esempio, un lavoratore che ha iniziato la sua attività a 20 anni, potrà andare in pensione 62 con l’intero importo maturato, nel qual caso in questi 42 anni abbia lavorato e contribuito per almeno 41 anni.

La rivalutazione

Come accennato nella manovra è contenuto anche un provvedimento sulla rivalutazione delle pensioni. Si tratta di un aumento “automatico” dell’importo dell’assegno pensionistico, atto ad adeguare il suddetto importo al costo della vita. Nel 2024 questo importo è aumentato all’incirca del 5,4%. Nel 2025, potrebbe aumentare dell’1,6%. Ma tale incremento non sarà uguale per tutti, infatti la rivalutazione viene operata anche a seconda degli importi assoluti. Per chi guadagna fino a 4 volte il minimo la rivalutazione infatti sarà piena, tra 5 e 6 volte il minimo al 75% e oltre si rivaluterà del 50%.

Il Tfr

Il Governo starebbe pensando anche di modificare la disciplina che regola il versamento dei contributi che poi si risolverà nella cifra erogata per il Tfr. Non essendo ancora entrata in vigore la manovra può tranquillamente trattarsi di indiscrezioni giornalistiche, ma circolano almeno due teorie su come i versamenti per il Tfr potrebbero venire modificati. La prima prevederebbe una sorta di silenzio-assenso di 6 mesi dall’entrata in vigore della manovra. Ciò significherebbe che, dall’entrata in vigore di quest’ultima, il dipendente avrebbe 6 mesi di tempo, entro i quali dovrebbe esprimersi se lasciare il Tfr in azienda. Non esprimendosi i soldi verrebbero automaticamente dirottati ad un fondo pensionistico. In parole povere, il dipendente se vuole il Tfr alla fine del rapporto di lavoro sarebbe “costretto” ad esprimere nuovamente la sua volontà in questo senso.

La seconda teoria prevedrebbe invece un versamento automatico del 25% ad un fondo pensione. Ovvero, il 75% dei contribuiti per il Tfr resterebbe su quest’ultimo, mentre il restante quarto andrebbe a costituire un fondo. In questo senso c’è sicuramente da fare una precisazione fondamentale. Dovesse entrare in vigore una simile disposizione, riguarderebbe comunque solo i neoassunti (con tutta probabilità quelli che otterranno un posto di lavoro dall’entrata in vigore della manovra in poi). Non verrebbero quindi toccati i Tfr dei lavoratori già assunti. Non è comunque certo accada, visto che il Governo sta ancora studiando cosa fare e come farlo. Ma queste due ipotesi farebbero parte di ciò che l’esecutivo avrebbe pensato di introdurre, come opzione al fatto di percepire il Tfr a cifra completa.

Va detto che gli interventi sul Tfr sono sempre abbastanza delicati perché vanno a toccare l’entità di una cifra finale che potrebbe fare molto comodo ad un neo-pensionato. Quindi vedersela ridotta potrebbe scatenare proteste. La cosa però, anche diventasse legge, andrebbe vista anche in positivo per essere valutata in modo neutrale. Se l’entità della cifra secca diminuirebbe, aumenterebbe però l’importo pensionistico in maniera continuativa. Si tratta di una scelta di campo dalle conseguenze certamente non trascurabili. Vedremo a breve se dal Governo arriverà davvero una decisione di questo tipo su una o entrambe le misure.

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