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Settimana corta: la proposta delle 32 ore lavorative

Dal centro-sinistra la proposta di ridurre gradualmente a 32 ore l’orario di lavoro settimanale, però ci sono diversi problemi.

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I partiti di centro-sinistra, hanno presentato una proposta di legge per ridurre significativamente l’orario di lavoro dal 2025. Si tratta di un testo che prevede una sorta di settimana corta dal punto di vista lavorativo, ridotta per legge a 32 ore, pur dopo un periodo di prova di 3 anni e nel caso il sistema dovesse funzionare. Attualmente l’orario lavorativo settimanale consta di 40 ore, almeno seguendo la maggior parte dei contratti collettivi nazionali. La particolarità di questa proposta è che non prevede riduzione di salario. Di conseguenza se adesso si guadagna 1500 euro lavorando 40 ore alla settimana, normalmente suddivise in 5 giorni feriali, dopo si guadagnerebbe uguale lavorando 8 ore in meno. Ma è davvero possibile l’applicazione di una legge di questo tipo? Iniziamo a vederla più nel dettaglio.

settimana corta

Settimana corta: cosa dice la proposta

Innanzitutto va chiarito che si tratta di una proposta di legge che prevede una riduzione graduale (e quindi non da un anno all’altro) dell’orario di lavoro, fino a portarlo a 32 ore, al posto delle attuali 40. Secondo le opposizioni un sistema di questo tipo aiuterebbe i lavoratori nella gestione dei figli e più in generale della vita privata, contribuendo a ridurre lo stress sul lavoro. La proposta prevede una sperimentazione di 3 anni. Almeno all’inizio, la settimana lavorativa standard rimarrebbe comunque di 40 ore, ma si darebbe la possibilità alle aziende, attraverso i contratti collettivi nazionali di stabilire un periodo di lavoro minore a parità di salario per un periodo che comunque non supererebbe l’anno ogni volta. Per i primi 3 anni, le imprese che dovessero aderire si troverebbero ad essere esonerate dal versamento dei contributi previdenziali che devono versare per loro parte, fino al 30% e comunque proporzionalmente all’orario di lavoro ridotto. Esoneri ancora più alti per le Pmi (fino al 50%) e per i lavori gravosi (60%).

La proposta di legge dei partiti di opposizione è partita da testi differenti ed è poi confluita in un testo unico, che è ora all’esame della Commissione lavoro della Camera. Si tratta di un’iniziativa non nuova che riguarda una vecchio cavallo di battaglia delle compagini politiche che si identificano nella sinistra. E’ molto noto infatti il tentativo, ormai di diversi anni fa, di Fausto Bertinotti di ridurre la settimana lavorativa a 35 ore. Si tratta quindi, a quanto pare, di un concetto ripreso dall’opposizione attuale che propone una riduzione ancora maggiore dell’orario di lavoro settimanale. Il tutto si unirebbe a grossi incentivi dal punto di vista della formazione e dell’innovazione.

Cosa pensa il Governo

Se è vero che il centro-sinistra ha spesso sostenuto la possibilità di ridurre l’orario di lavoro, anche se non sempre a parità di salario, questa non è sicuramente mai stata l’impostazione dei partiti di centro-destra, attualmente al Governo, che invece pensano che il lavoro vada sempre e comunque incentivato, anche attraverso l’aumento degli stipendi ed il taglio del cuneo fiscale, in modo da sistemare più soldi in busta paga ai lavoratori dipendenti. Tecnicamente non c’è nulla di male in nessuna delle due visioni, si tratta semplicemente di questioni tecniche relative alla possibilità di realizzare una settimana corta, lavorativamente parlando, oppure no. Come era prevedibile quindi, vista la visione politica differente dell’attuale esecutivo, la proposta di legge sulla settimana corta di 32 ore potrebbe incontrare un grosso stop. La maggioranza ha infatti presentato una serie di emendamenti (circa 20) che prevedono la soppressione totale o parziale del testo in questione, evidentemente non ritenendolo valido.

Va detto che già ora è possibile per le aziende sperimentare orari di lavoro, per così dire, minori. Nulla vieta infatti ad un’impresa di modificare il proprio orario, riducendolo (non può invece aumentarlo), per verificare se dal punto di vista organizzativo e produttivo la cosa possa tradursi in un qualche vantaggio. Farlo per legge è però tutto un altro discorso. E infatti il problema pare stare proprio in questo punto: è‘ davvero possibile legiferare in questo senso?


Settimana corta: alcune riflessioni

Partiamo col dire che non ci sarebbe nulla di male nell’attuare una sorta di sperimentazione della misura. Si tratterebbe semplicemente di testare un sistema nemmeno del tutto nuovo al puro scopo di vedere se la cosa possa o meno funzionare. Detto questo, appare difficile, soprattutto in un contesto lavorativo come quello italiano, decisamente vario dal punto di vista dell’orario di lavoro effettivo, riuscire ad eliminare un giorno di lavoro per legge. Perché in parole povere si tratterebbe di questo: fare quattro turni da otto ore piuttosto che cinque. Certo, si tratta di una proposta fortemente allettante (lavorare di meno allo stesso stipendio), ma la cosa potrebbe presentare problemi di certo non trascurabili. Se è vero che la proposta dell’opposizione non prevede alcun obbligo, ma si limita invece a sostenere di dare la possibilità di utilizzare i contratti nazionali per ridurre (anche) a 32 ore l’orario di lavoro quando le condizioni lo permettono, è altrettanto vero che anche all’interno dei singoli contratti nazionali potrebbero nascere disparità significative nello stesso settore.

Ovvero ci si potrebbe trovare con, ad esempio, impiegati dello stesso settore, ma in aziende diverse, che lavorano quattro o cinque giorni, a seconda della realtà in cui operano. Ciò non è che sia un male in se stesso, anzi, potrebbe addirittura influire positivamente sulla concorrenza, però potrebbe anche destabilizzare il mercato del lavoro, aumentando il numero di “fughe” da realtà lavorative di cinque giorni, per passare facilmente a quelle in cui si lavora solo quattro giorni. Cosa che però secondo la proposta di legge non durerebbe più di un anno ogni volta. Uno spostamento molto frequente dei dipendenti (dovesse avvenire in relazione a questa ragione), non sembra essere una situazione idilliaca, perché si tratterebbe di una continua perdita e riacquisizione di competenze, con personale da formare nuovamente ogni volta, almeno in via teorica. E’ un rischio insomma che non è chiaro se valga la pena correre, visto che è ovvio che un posto dove allo stesso stipendio si lavora di meno, fa certamente gola più o meno a tutti. Un altro problema possibile è che le aziende potrebbero legare la durata dei contratti al tempo in cui viene ridotto l’orario di lavoro (ovvero un anno per volta, a quanto è dato capire) per attirare facilmente risorse che poi si potrebbero trovare senza lavoro l’anno dopo. Insomma, vi è il rischio (pur del tutto non accertato, visto che allo stato dei fatti è letteralmente impossibile farlo) che possa aumentare la precarizzazione del lavoro per una sorta di meccanismo inconscio atto a far spostare le persone dove si lavora di meno, anche se magari per poco tempo, cosa certamente per nulla augurabile.

In parole povere un’impresa al posto di assumere a tempo indeterminato potrebbe proporre contratti di un anno per volta, mettendo nel “cassetto dei desideri” del lavoratore le 32 ore lavorative. Questo potrebbe indurre chi già lavora e magari ha un contratto stabile, a spostarsi rischiando di precarizzare la sua posizione, attirato da una sorta di “sirena” nel suo significato più epico, che però potrebbe non durare molto. Tale (ipotetica) precarizzazione potrebbe altresì ridurre il numero di investimenti a medio e lungo termine (prestiti, mutui), visto che aumenterebbe la quantità di lavoratori a tempo determinato.

Altra cosa importante da dire: non è scontato che diminuire il tempo di permanenza al lavoro aumenti la produttività, in quanto alcuni lavori sono strutturati su un tempo più lungo. Ed anche per altri lavori, spesso collegati ai primi, vi è la necessità della permanenza di cinque giorni. Pensiamo ad esempio a chi lavora nei trasporti, dove non è letteralmente possibile saltare un giorno feriale, visto che tra l’altro spesso si lavora pure al sabato. Questo potrebbe inoltre generare malcontento in chi fa un lavoro in cui non è possibile ridurre di un giorno l’orario di lavoro, e quindi a parità di stipendio lavorerebbe di più di qualcuno con il suo stesso contratto e appunto, stipendio. In soldoni, un impiegato che lavora 40 ore per 1500 euro non sarebbe decisamente contento di sapere che un altro con gli stessi 1500 euro lavori invece solo 32.

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